“Io so chi si scopa Linda”

11°in

Categoria: Etero
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      Un lungo sospiro di frustrazione sfuggì dalle labbra voluttuose di Francesca. Appoggiò il viso tra i palmi delle mani, coprendosi gli occhi, cercando di isolare il resto del mondo dalla sua mente, ma non ce la fece. Quel dannato televisore in cucina continuava a fare chiasso, la voce di gente che recitava battute idiote che solo sua madre riusciva ad apprezzare risuonava anche in salotto. E le apprezzava per tutto il fottuto pomeriggio, assisa su una sedia a rincoglionirsi con quelle idiote telenovelas in costume, con gente che non faceva altro che corrersi dietro per poi non fare nulla una volta acchiappato il proprio amato.

      Doveva studiare per gli esami, aveva bisogno di concentrarsi e cercare di capire qualcosa sulle formule finanziarie di Excel. Aprì gli occhi, sollevando la testa, e trovò ancora sullo schermo, sopra la griglia di celle, la barra della formula che la fissava, perfida, con quel segno di uguale solitario, in attesa di essere accompagnato da qualche astrusa stringa di comandi, che sembrava un sorriso di derisione verso la sua incapacità nell’usare un programma che, secondo il suo professore, le avrebbe semplificato la vita sul lavoro.

      «Semplificato un cazzo…» sussurrò astiosa verso il muro fatto di celle invece che di mattoni che occupava quasi tutto lo schermo. «Altroché da segretaria, dovevo studiare da muratore!»

      Sbuffò di nuovo, afferrando il mouse e posizionando il cursore sull’icona a forma di libro sulla cui copertina sembravano disegnate tre monete impilate. “Ma sarà un cazzo di grafico a coso, là… grafico a torta 3d, più che una pila di monete, oca!”, si rimproverò. Quando poi fece click, la situazione precipitò come il menu a tendina in cui comparvero una sfilza di termini finanziari che a lei sembravano insulti alla sua intelligenza limitata.

      «Porca puttana…» imprecò, sconfitta.

      E più cercava di concentrarsi, più il pensiero della sua esibizione della gara di pompini di domenica s’insinuava tra i suoi pensieri, finendo con il prendere possesso di tutta la sua attenzione. Sapeva di essere brava, glielo diceva ogni ragazzo a cui l’avesse succhiato, e solo un paio di ragazze potevano mettere a rischio la sua vittoria, ma sperò che le gambe molli non sarebbero venute solo a lei, quando si sarebbe inginocchiata davanti a Daniele, sotto lo sguardo di tutti, ma anche alle altre, facendo fare loro delle figuracce. Sì, dannazione: avrebbe fatto faville, e poi trovato un pollo che si sarebbe innamorato della sua capacità di succhiatrice che l’avrebbe mantenuta a vita. E soprattutto non avrebbe mai più dovuto vedere un dannato foglio elettronico.

      Ma anche senza saper dare piacere con la bocca a livelli olimpici, il suo magnifico corpo avrebbe fatto cadere ai suoi piedi qualsiasi uomo. Era una delle ragazze più alte della scuola, slanciata, con un fisico modellato da anni di palestra. Aveva i capelli corvini, con leggeri riflessi marroni, che le scendevano morbidi fino oltre le spalle, e gli occhi erano di un nero che nemmeno le notti più scure potevano vantare. Il viso che la guardava sullo schermo era leggermente allungato, con le gote accentuate sotto gli occhi, con la mascella che sfumava in un mento appena pronunciato, sopra il quale si potevano ammirare un paio di labbra voluttuose sempre impreziosite dal rossetto. Le gambe erano lunghe e tornite, che riteneva un peccato nascondere in qualcosa che fosse più lungo di un paio di pantaloncini, e che depilava in continuazione.

      Ma quello di cui andava davvero fiera, e che calamitava l’attenzione di chiunque, era il suo seno. Era incredibile quanto fosse grosso e tondo, qualcosa che faceva eccitare lei stessa quando si vedeva allo specchio nuda, reso ancora più maestoso dalla pancia perfettamente piatta. Fino a sedici anni sembrava fosse stata destinata ad avere un bel viso ed un corpo su cui lavorare per essere appetibile e basta, ma nel giro di breve tempo, che a lei, ripensandoci, sembrava quello che separava la sera dalla mattina, il suo petto aveva cominciato a lievitare, a ingrandirsi, a renderla quel gran bel pezzo di fica che adorava contemplare allo specchio. Considerava le sue tette la sua arma nucleare nella guerra della seduzione e bastava che si mettesse appena appena in posizione, mostrando per bene quelle due meraviglie, per avere il controllo di ogni uomo.

      Francesca non amava indossare intimo sotto i vestiti, se non in quei giorni. Non che lo facesse per togliersi meno abiti quando faceva sesso con qualcuno, quanto piuttosto per un senso di libertà. Di ribellione. Le piaceva sentire il tessuto muoversi sulle labbra della sua vagina quando camminava, e finchè il seno fosse rimasto su da solo… Solitamente indossava una maglietta con qualche stampa, che risultava comunque illeggibile tanto veniva deformata dalle grosse tette, spesso con due punte in rilievo causate dai capezzoli piccoli ma continuamente turgidi, ed un paio di short in jeans. E amava le scarpe, quelle costose: Moschino, Armani, magari un Versace ogni tanto. Tutte rigorosamente con tacchi bassi: già gli uomini facevano fatica a guardarla negli occhi, se poi si fosse alzata al punto tale da nascondersi il viso dietro al seno…

      Nel frattempo, comunque, sarebbe stato comunque meglio cercare di capire come far calcolare al computer l’ammortamento di un…

      Il cellulare prese vita, vibrando, guadagnandosi uno sguardo di brace da parte della ragazza.

      «E adesso chi cazzo rompe i coglioni?» strepitò, appoggiando il mouse sul tavolo prima di scagliarlo contro un muro nell’impeto della rabbia che l’aveva colta. Afferrò il telefonino, aprendo la custodia in finta pelle rosa che lo proteggeva e leggendo chi la stava chiamando. Solo il rumore del televisore impedì a sua madre di sentirla imprecare di nuovo.

      Se Francesca avesse potuto scegliere chi non avesse dovuto avere il suo numero di telefono, avrebbe scelto sicuramente quel coglione di Mauro. Anzi, non avrebbe mai nemmeno voluto conoscerlo. Ebbe un brivido di ribrezzo quando il suo volto le apparve nella mente.

      Certo, era colpa sua se il ragazzo aveva il suo numero nella rubrica, avendoglielo dato anni prima, non ricordava nemmeno in che occasione… forse durante una gita o una festa. In ogni caso, andava detto che lui non l’aveva mai chiamata fino a quel momento, e lei si era perfino dimenticata dell’accaduto. Nonostante ciò, lei ne aveva disgusto, come praticamente ogni altra ragazza della scuola, se non addirittura paura.

      Francesca non avrebbe saputo dire quanti anni avesse davvero Mauro, ma cinque o sei in più di lei di sicuro. E nonostante questo frequentava ancora la quinta superiore per elettricisti, dopo aver provato quasi ogni possibile altro indirizzo, ed essere stato bocciato in continuazione per poca dedizione allo studio e troppa al bullismo. Sì, perché, nonostante non si potesse definire proprio brutto ma nemmeno bello, ciò che davvero rendeva difficile una buona convivenza con Mauro era il suo cocktail di profonda ignoranza, completa mancanza di empatia verso chiunque e la convinzione di avere diritto a qualsiasi cosa, compreso quello di mettere le mani addosso a chicchessia.

      «E quel pezzo di merda» sussurrò la ragazza, chiedendosi ancora se rispondere alla chiamata o se bloccarla, lo schermo dello smartphone davanti al volto, «dicono abbia un pitone in mezzo alle gambe». Ma, pensò, doveva essere una leggenda quanto l’abominevole uomo delle nevi o i fantasmi, perché nessuna donna avrebbe fatto sesso con quello stronzo.

      Tentennò nel bloccare la chiamata, chiedendosi cosa volesse. Perché improvvisamente aveva deciso di telefonarle? Doveva studiare. Doveva farlo assolutamente. Ma qualcuno urlava alla televisione in cucina, e quell’”uguale” solitario nella barra della formula continuava a deriderla… “Fanculo”, si disse, avrebbe potuto studiare anche più tardi, magari con più calma in casa e nella sua mente.

      Si alzò dalla sedia con in mano il telefonino e si avvicinò alla portafinestra, aprendola e uscendo nella terrazza: sua madre sarebbe stata in cucina a guardare i suoi stupidi spettacoli, ma preferiva non rischiare che s’impicciasse nei suoi affari. E poi ne aveva piene le palle di sentire tutti quegli schiamazzi recitati, cazzo.

      Una leggera brezza le accarezzò il volto e le lunghe chiome nere, soffiando via un po’ di rabbia che era montata in lei. Si appoggiò alla ringhiera, ammirando per un attimo il panorama che si apriva davanti a lei, nonostante lo conoscesse a memoria e avrebbe potuto disegnarlo a occhi chiusi.

      La sua famiglia aveva guadagnato un piccolo capitale con l’azienda di trasporti e, quand’era ancora piccola, Francesca aveva abbandonato l’appartamento nel centro del paese, in un vicolo, per abitare in una villetta con i muri esterni in pietra, in una zona periferica. Avevano abbandonato le comodità, aveva pensato allora, ma crescendo aveva compreso che, in realtà, avevano guadagnato molto più in tranquillità: a parte qualche trattore durante i periodi di sfalcio dei prati, o una manciata di escursionisti desiderosi di percorrere qualche sentiero poco battuto, non c’era praticamente nessuno nei pressi della loro abitazione. La campagna si apriva attorno alla casa, prati divisi da fosse e rogge attorno alle quali crescevano bassi salici piantati in file ordinate; la mattina, quando una bassa foschia scivolava tra i fili d’erba, spesso si udivano i richiami di caprioli usciti dai boschi delle montagne ad ovest. Il paese era raggiungibile in una mezz’ora a piedi ed in un attimo con lo scooter che le avevano regalato per i sedici anni lungo la strada che il suo stesso padre aveva fatto asfaltare dagli operai del comune, coprendo gli avvallamenti della strada sterrata devastata da decenni di traffico composto da mezzi agricoli.

      La ragazza fece scorrere il pollice sullo schermo, accettando la chiamata. Appoggiò il telefono all’orecchio. «Pronto?» chiese, accorgendosi che la sua voce aveva un’inflessione di astio appena percettibile che credeva di aver perso in quegli istanti di contemplazione del paesaggio.

      Per qualche motivo, la voce che rotolò fuori dal piccolo altoparlante diede alla ragazza l’idea di una creatura informe, simile a quelle di gelatina dei film dell’orrore, che si rivoltasse su sé stessa, con un suono liquido quando si contorceva. Le parole erano strascicate, come se un colpo di spugna sonora sbavasse i fonemi, sfumandone uno nel successivo, rendendo le parole piatte e il tutto una cantilena fastidiosa.

      «Eeeh… Francesca…» biascicò il telefono. Alla ragazza sembrò che le sue orecchie si stessero riempiendo di ovatta tanto quella voce era priva di inflessioni e monotona nel tono. Già si pentì di avere accettato la telefonata. «Perché non fai aspettare tanto, bella fica?»

      No, si corresse la ragazza: nella voce di Mauro, in realtà, poteva riconoscere fino all’ultimo grammo di desiderio di metterla a pecorina e fotterla con violenza. Una smorfia di disgusto si disegnò sulle sue labbra sensuali. «Senti, Mauro, non ho tempo per te».

      «Oh, non hai tempo per un cazzone come il mio?» domandò l’altro. «Lo hai mai visto? Ti mando la foto, dopo, così poi ne hai voglia e corri qui a succhiarmelo».

      “Che coglione…”, pensò lei. No, sarebbe stato meglio restare in casa a venire scema davanti allo schermo del computer con il sottofondo di gente che blaterava di amori mancati e corna piuttosto che perdere il proprio tempo con Mauro. Spostò il dito sul tasto rosso per sbattere virtualmente la cornetta in faccia all’idiota, quando lo stesso pronunciò sei parole che la fecero desistere all’ultimo istante.

      «Io so chi si scopa Linda».

      Francesca portò il telefono all’orecchio. «Lo so anch’io: con una donna. L’ho vista un paio di giorni fa baciarla mentre saliva sulla sua auto».

      Mauro rise, ma il suono che emise fece di tutto tranne che rallegrare la ragazza. «No, ti stai sbagliando. Non è una donna».

      «Cosa…» mormorò Francesca, confusa. La ragazza era convinta, da una serie di avvenimenti accaduti nella sua vita, di essere dotata di un cervello dalle scarse capacità, come per l’uso di programmi informatici. In realtà, in quel momento, avrebbe potuto constatare che non lo era affatto, per lo meno per quanto riguardava il calcolo delle conseguenze in base alle informazioni che aveva a disposizione. Il fatto che Linda facesse sesso con un uomo aveva fatto scattare una lampadina di allarme nella mente di Francesca: la bionda si stava davvero addestrando per i pompini? Era intelligente, Linda, non una capra come lei, si disse. Lei era autodidatta, ma la nerd probabilmente poteva avere accesso ad informazioni che Francesca non avrebbe nemmeno potuto immaginare.

      No, si disse, cercando di calmare il cuore che, improvvisamente, aveva cominciato a correre come un forsennato. Linda non aveva mai visto un cazzo prima di allora, e non poteva certo recuperare l’esperienza che lei poteva vantare in tutti quegli anni. E poi, da quando un uomo si preoccupava di come gli venisse fatto un pompino? Bastava che si trovasse l’uccello nella bocca di una ragazza e che quando lo tirasse fuori non avesse segni di denti, e poi tutto il resto era grasso che colava. Se Linda non glielo avesse tranciato via, lui non avrebbe fatto tante storie una volta venuto nella sua bocca o in faccia. Un uomo che non la sa leccare non va a rompere le balle ad una donna perché non sa succhiarlo, si convinse, con un sorriso.

      Sì, decise, non avrebbe avuto senso preoccuparsi di Linda durante la gara. Quelle da tenere d’occhio erano Vincenza e Marina. O Martina. O come cazzo si chiamava quella bionda simpatica quanto le dita negli occhi.

      «Ma sei sicuro… non te lo stai inventando?»

      «Li vedo con il binocolo dalla finestra della mia casa. Mi piace guardare Linda quando fa i compiti. Mi zangolo perché Linda è una bella figa».

      La ragazza ebbe un brivido a pensare che qualcuno osservasse Linda e si masturbasse guardandola studiare. Quanto doveva essere malato?

      Il malato ignorava i pensieri della mora, ma chiese: «Io lui lo conosco. Tu vuoi sapere chi è?»

      Francesca ci pensò mezzo secondo al massimo. «Sì, dimmelo» rispose. Conoscere il nome del pessimo amante di Linda sarebbe stato ottimo per prenderla per il culo dopo aver fatto la sua infame figuraccia alla gara di pompini. La ragazza sorrise. “Tizio non ha provato a insegnarti a fare i pompini? Ma, dopotutto, che avrebbe dovuto aspettarsi da una come te: che glielo avresti succhiato bene? Tanto valeva limitarsi a scoparsi ed accontentarsi.”

      Mauro emise di nuovo quella risata fastidiosa. «Pensi che sono scemo? Mica te lo dico così, gratis».

      «E allora cosa vuoi?» chiese lei, tagliente.

      «Ci incontriamo al Bar Griso tra mezz’ora» rispose lui, e chiuse la comunicazione.

      Francesca sbattè le palpebre, fissando sorpresa lo schermo dello smartphone. Lui l’aveva fregata, lo riconosceva, lasciandola con l’acquolina in bocca, desiderosa di conoscere il nome del coraggioso che si scopava Linda. Ma andare al Bar Griso, quella bettola di terz’ordine? Ne valeva la pena? Con Mauro, soprattutto?

      Poi lo sguardo della ragazza scivolò oltre le vetrate della portafinestra e si posò sul tavolo in salotto, dove lo schermo del computer era ancora illuminato e il segno di uguale continuava a guardarla, sogghignando. Il bel viso di Francesca venne sconvolto da una smorfia di fastidio. Mise il cellulare in tasca, entrò, prese le chiavi del motorino e disse a sua madre che sarebbe uscita un momento. La donna annuì senza distogliere gli occhi dal dramma amoroso di Fernando e Carmelita.

Continua…

Nella raccolta:

Una storia di amore, rivalsa e pompini.

Scritto da:

Sedicente autore di racconti erotico, in realtà erotomane con la passione della scrittura creativa. Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, i miei contatti sono: 📧 william.kasanova@hotmail.com 📱 https://t.me/WilliamKasanova

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